L’OEE (Overall Equipment Effectiveness) è un indicatore globale di efficienza delle risorse produttive che può essere calcolato in modi diversi. Vediamoli in questo articolo.
Cosa è l’OEE?
L’OEE, tradotto significa “efficienza generale dell’impianto”, è un indicatore percentuale che rappresenta il rendimento globale di una risorsa produttiva o di un insieme di risorse, siano esse umane o tecniche, durante il tempo nel quale queste sono disponibili a produrre.
Nella pratica, se ad esempio il reparto X nella settimana Y è disponibile a produrre, mettiamo caso, per un tempo di 5 gg * 8 ore/gg = 40 ore, allora un OEE consuntivo pari al 50% significa che il reparto ha prodotto materiali conformi in quantità pari alla metà della quantità massima teorica che da quel reparto ci si poteva attendere, a fronte delle risorse in esso presenti e delle 40 ore disponibili.
Come si può ben comprendere dall’esempio, l’OEE è l’indicatore più “esigente” ed omnicomprensivo che esista, in quanto sconta tutte le tipologie di inefficienze che portano ad una minore produttività: dalla mancanza di materiali alla cattiva pianificazione, dai setup ai tempi morti, dai fermi macchine ai guasti, dalle rilavorazioni alle non conformità.
Come si calcola l’OEE?
L’OEE viene affrontato secondo un modello “classico” che ben si adatta all’industria di processo (o comunque, laddove esistono linee di produzione automatizzate) ma che è difficile applicare in realtà organizzate per reparti, specie se queste producono per parti discrete (pezzi), e ancor più se le lavorazioni sono manuali.
Nel corso degli anni, invece, è stata introdotta una metodologia di calcolo innovativa che, pur riconducendosi allo stesso modello di base, è decisamente più adatta ai tipici contesti produttivi per reparti, oppure misti reparti/linee, con produzione di parti discrete (= pezzi).
La definizione di OEE “classica”:
OEE = Disponibilità x Prestazione x Qualità
L’OEE, nel modello classico, è il prodotto di tre indicatori percentuali che rappresentano le tre componenti fondamentali della performance:
- Disponibilità: percentuale dell’effettivo tempo di attività rispetto a quello disponibile;
- Prestazione (o Rendimento): percentuale di parti prodotte rispetto alla potenzialità teorica, quando l’impianto è attivo (corrisponde alla velocità effettiva rispetto alla velocità nominale);
- Qualità: percentuale di parti conformi rispetto al totale delle parti prodotte.
L’OEE è quindi un numero adimensionale (per intenderci, %) che tiene quindi conto delle tre principali categorie di perdite produttive:
- Guasti, setup e attrezzaggi;
- Riduzione di velocità e microfermate;
- Scarti, rilavorazioni e perdite di resa all’avviamento.
Questo modello, seppure teoricamente valido, diventa di difficile applicazione nella maggioranza dei contesti produttivi. Immaginate di avere ad esempio 4 reparti produttivi, ciascuno con macchine diverse, che realizzano un mix di prodotti variabile sia per tipologia che per quantità… riuscireste a calcolare con precisione i tre diversi fattori, pesando correttamente l’incidenza dei vari articoli/lotti/cicli di lavorazione?
Proviamo a semplificare le cose.
Il modello innovativo:
OEE = “Tempo redditizio” / Tempo disponibile
Partiamo da questo assunto: l’OEE, al pari di tutti gli indicatori di efficienza, per definizione può essere espresso attraverso un rapporto OUTPUT/INPUT.
Esso dà infatti una indicazione globale sulla capacità di un’insieme di risorse di produrre valore per il cliente (output) con le risorse produttive a disposizione (input).
Bene, ma come misurare output e input? Ovviamente, il numero di pezzi non va bene, a causa delle differenze nei cicli e nei tempi di produzione.
L’input deve essere proporzionale all’impegno che l’azienda investe nel sistema produttivo, impegno che è ben rappresentato dalla disponibilità oraria delle risorse, siano esse manodopera o macchine/impianti. Non a caso, entrambe le categorie di risorse tipicamente hanno costi orari ad essi associati.
E l’output? Poco, ma sicuro: deve essere espresso in una unità di misura confrontabile, e cioè temporale, in modo che l’OEE risulti un rapporto di elementi tra loro omogenei, dunque una percentuale.
In questo contesto acquista valore il concetto di tempo standard di lavoro: è il tempo necessario per l’esecuzione di una data operazione a fronte di strumenti, metodi e procedure operative stabiliti. Il tempo standard è definito dall’azienda per lo specifico ciclo di lavoro, manuale o automatico che sia: è il “tempo giusto” che serve per eseguire una lavorazione, né più, né meno. In questa accezione, il tempo standard si avvicina (anche se non è esattamente la stessa cosa) al concetto di tempo a valore aggiunto. Per non creare ambiguità, possiamo chiamarlo tempo redditizio.
Il tempo standard per le attività basate su macchine o impianti a controllo numerico è tipicamente “predeterminato”, in quanto dipende dal ciclo tecnologico. Per le lavorazioni manuali, invece, questo è più complesso, in quanto per la sua determinazione è necessario avvalersi di analisi sperimentali secondo le tecniche Tempi e Metodi.
Se avete avuto la pazienza di arrivare sin qui, manca un ultimo tassello. Bene la rappresentazione grafica, bene il concetto, ma come eseguire il calcolo correttamente?
Se abbiamo compreso il senso degli standard, il gioco è presto fatto: prendiamo il tempo standard, moltiplichiamolo per il numero di pezzi processati nelle ore di lavoro considerate e otterremo il numeratore della formula (l’output). Come input, invece, useremo le ore disponibili:
Quali vantaggi si possono ottenere dall’introduzione dell’OEE?
Tipicamente, un sistema produttivo che non ha mai affrontato un progetto di miglioramento dell’efficienza si attesta su valori di OEE non superiori al 50-60%.
I migliori produttori, invece, raggiungono e mantengono nel tempo un OEE pari all’85%, considerato un obiettivo “world class”.
Sottolineiamo il fatto che raggiungere la condizione ideale del 100% è virtualmente impossibile, in quanto rappresenterebbe un sistema che non si ferma mai e che non effettua mai attrezzaggi/setup. Se l’OEE risultasse maggiore del 100%, anzi, sarebbe sintomo di inaccuratezza del modello impostato (ad esempio, tempi standard sovradimensionati e quindi inesatti). Anche valori alti (maggiori del 70%), se rilevati in contesti che non hanno mai affrontato un processo strutturato di miglioramento dell’efficienza, devono essere validati approfonditamente.
Di quanto avremo migliorato?
Raggiungere un OEE dell’85% a partire, ad esempio, da una condizione di partenza del 60% (obiettivo solitamente raggiungibile in pochi mesi e senza particolari investimenti) significa aumentare l’efficienza non del 25%, bensì del 42%, in quanto la base di partenza era 60%. Nel concreto, significa produrre il 42% in più con le stesse risorse, oppure poter risparmiare il 42% di risorse a parità di produzione.
Il calcolo dell’OEE non migliora automaticamente la produttività. Esso deve essere abbinato ad una analisi dettagliata ed accurata dei motivi alla base della ridotta produttività. Per approfondire questo aspetto, vi rimando all’articolo sulla analisi delle perdite produttive.
Per raggiungere il “world class” dell’85% servono non solo una buona gestione tecnica delle risorse, ma anche e soprattutto una ottima gestione organizzativa. In questo senso, l’esperienza maturata negli anni presso numerose realtà manifatturiere può rendere molto efficace un intervento in azienda da parte di personale esterno, che può impostare correttamente il metodo, progettare le attività di miglioramento e monitorarne i risultati.
Per aumentare la produttività e contenere i costi è fondamentale dotarsi di un efficace sistema di misurazione, controllo e miglioramento dell’efficienza produttiva: il metodo OEE.
L’attuale contesto competitivo è caratterizzato da una progressiva riduzione dei margini, dovuta alla crescente globalizzazione e ad una minore disponibilità alla spesa da parte dei clienti.
Questo impone alle aziende di ridurre i costi produttivi per conservare o migliorare la propria competitività. Una chiave essenziale per ottenere questo risultato è massimizzare l’efficienza delle risorse produttive, siano esse reparti, linee o centri di servizio.
Essere più efficienti significa, concretamente, aumentare la produttività a parità di risorse impiegate. Questo significa che si può ottenere la stessa produttività impiegando meno risorse, oppure ottenere più produttività dalle risorse esistenti.
Spesso si è portati a pensare che il modo migliore per aumentare l’efficienza produttiva sia quello di rinnovare o potenziare gli asset tecnologici, affrontando investimenti spesso non trascurabili. L’esperienza però insegna che, in assenza di un adeguato sistema di controllo e miglioramento dell’efficienza, difficilmente un sistema produttivo esprime più del 50-60% del proprio potenziale.
Per un’azienda che voglia essere competitiva è quindi prioritario dotarsi di un efficace sistema di controllo e miglioramento dell’efficienza, in particolare sulle risorse “critiche”. Questo consente all’azienda di:
- misurare l’efficienza produttiva in modo oggettivo;
- diffondere indicatori che inducono spontaneamente un aumento della produttività;
- individuare ed eliminare le fonti di inefficienza.
Tipicamente, un progetto OEE consente in pochi mesi di elevare l’efficienza produttiva anche del 30-40%, a seconda della situazione di partenza, portandola alla sua massima potenzialità. Le inefficienze individuate si rivelano spesso di natura prevalentemente organizzativa, e pertanto la loro risoluzione richiede investimenti molto bassi o addirittura nulli.
Di conseguenza, l’implementazione di un progetto OEE è solitamente caratterizzato da un ritorno dell’investimento molto rapido, oltre a garantire un guadagno di efficienza significativo e stabile nel tempo.
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